Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Tre60, oggi vi parlo di La seminatrice di coraggio di Antonella Desirèe Giuffrè.
la seminatrice di coraggio di Antonella Desirèe Giuffrè Editore: Tre60 Pagine: 294 GENERE: Romanzo Storico Prezzo: 8,99€ - 16,90€ Formato: eBook - Cartaceo Data d'uscita: 2025 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟
Trama:
Sicilia, 1914. Maria Roccaforte, giovane maestra, lascia il suo paese sul mare di Ragusa per sposare Pietro, un ricco proprietario terriero del borgo di Bonaventura, sui Monti Iblei. Quando Pietro parte per la Grande Guerra, Maria resta sola a gestire la casa e i campi. Le contadine, che lavorano la terra per sostituire gli uomini chiamati al fronte, non si fidano di lei, “donna di città”, e la situazione del borgo peggiora con l’aumentare delle confische dei raccolti da parte dello Stato e delle estorsioni dei briganti.
A Palermo, Maria conosce Sofia Bisi Albini, la fondatrice della Federazione nazionale delle Seminatrici di coraggio, che portano notizie dal fronte alla popolazione più povera e analfabeta e, come “madrine di guerra”, inviano lettere di consolazione ai soldati. Diventata seminatrice, Maria inizia una fitta corrispondenza con il soldato Marcello Elia, che le scrive lettere disperate e struggenti dal fronte del fiume Isonzo.
Quando Pietro viene dato per disperso, Maria sente più che mai il dovere di proteggere le donne di Bonaventura. Ma dopo aver conquistato la loro fiducia, riuscirà a convincerle a unirsi al movimento di protesta nazionale per rivendicare il loro contributo durante il conflitto? E al termine di quella orribile guerra, riuscirà a vedere gli occhi di Marcello, l’uomo che ha conosciuto soltanto attraverso le sue lettere appassionate?
In questo romanzo intenso, l’autrice descrive una Sicilia incantevole e ferita, dove le donne hanno finalmente compreso l’importanza di lottare, unite, in nome dei diritti e della libertà.
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RECENSIONE
La seminatrice di coraggio di Antonella Desirèe Giuffrè è un libro che sa raccontare ma sa fare anche un'altra cosa: restituire voce ai silenzi e dignità alle memorie cancellate. Con una scrittura che ha la trasparenza dell'acqua di fonte ma la profondità di un mare antico, l'autrice costruisce un'opera di umanità grandiosa, potente e tragica nell'unire al filo rosso della Grande Storia il destino di una donna, a cui si aggrappano quelli di tante altre.
Ci trasporta in una Sicilia dei primi del Novecento, terra-madre e terra-matrigna, tra le alture aspre dei Monti Iblei, dove la bellezza è un fiore che sboccia tra le rocce e il dolore è il pane quotidiano.
Maria Roccaforte è una giovane maestra, porta con sé l'odore del mare e la luce di un'istruzione che è già promessa di emancipazione. Il suo viaggio verso l'entroterra per sposare il facoltoso Pietro Bonaventura non è solo un trasloco geografico, ma un'immersione in un mondo arcaico, governato da un patriarcato che odora di terra e di incenso, di potere e di sottomissione.
Maria è una creatura di confine: la sua anima è tesa tra la nostalgia per il mondo che ha lasciato – la scuola, i volti attenti dei suoi alunni – e l'urgenza di comprendere e trasformare quello in cui è entrata.
Maria si aggrappa con la sua ingenuità e con tutte le sue forze all'idealismo dell'amore, si piega sotto il peso della solitudine e delle regole non scritte, si spezza nel dolore e, infine, si ricompone in una forma nuova, più forte e consapevole. Da sposa romantica a leader silenziosa di una rivoluzione gentile, la sua trasformazione è tanto commovente quanto rivoluzionaria. Quasi da non crederci.
L'autrice la dipinge con una tenerezza che non scade mai nel sentimentalismo, mostrandoci le sue notti insonni, i dubbi che la corrodono, la malinconia che si fa quasi personaggio. Ma la sua sofferenza non è mai sterile autocommiserazione; è il combustibile di una scelta. Il suo coraggio non è quello delle eroine da copertina, non è urlato né plateale. È un coraggio carsico, sotterraneo, che si nutre di gesti quotidiani: una parola gentile, un seme piantato, una lettera scritta. È il coraggio ostinato e invisibile di milioni di donne che hanno sorretto il mondo mentre la Storia ufficiale guardava altrove.
Pietro Bonaventura è ambiguo. Non è il "cattivo" della fiaba, ma qualcosa di molto più complesso e insidioso: è l'incarnazione di un sistema di potere che si maschera d'amore. Il suo fascino iniziale, la sua passionalità terrena, si rivelano presto come le sbarre dorate di una gabbia. Il suo amore per Maria è inestricabilmente legato al bisogno di possesso, e la sua autorità, esercitata con sorrisi affettuosi e premure soffocanti, è la forma più subdola di controllo.
La scena in cui le vieta di mescolarsi alle contadine o di interessarsi alla vita del borgo è un manifesto del suo essere. Pietro non è un mostro; è un uomo imprigionato dalla sua stessa cultura, vittima di un'idea di mascolinità fondata sul controllo della terra, delle donne, del silenzio. Il suo disprezzo velato per l'ignoranza delle braccianti, che egli stesso contribuisce a perpetuare negando una scuola, il suo chiudersi in un mutismo impenetrabile, svelano la sua incapacità di vedere e amare la donna che ha sposato per ciò che è veramente: non un fiore da esporre, ma una forza della natura. L'autrice lo descrive, lo fa vivere, respirare, ma non lo giudica mai, semplicemente ne mostra le crepe, la fragilità, il disperato e fallimentare tentativo di essere l'uomo che crede di dover essere.
In questo universo di silenzi e non detti, irrompe una voce che è pura e quasi surreale. Marcello Elia, il soldato al fronte di cui Maria diventa madrina di guerra, è il personaggio più corporeo del romanzo proprio perché un corpo quasi non lo ha. Esiste attraverso la sua calligrafia, le sue parole intrise di fango, paura e poesia. Le sue lettere non sono semplici resoconti dal fronte; sono confessioni, testamenti spirituali, grida di una generazione mandata al macello.
Per Maria, questa corrispondenza diventa uno spazio franco, un rifugio dell'anima. Nelle lettere a Marcello, può finalmente essere se stessa: non la moglie del possidente, non la "signora", ma una donna capace di tenerezza, empatia, sensualità intellettuale. Quello con Marcello è un amore che si nutre di inchiostro e attesa, un incontro di epidermidi dell'anima prima che dei corpi. È la dimostrazione che il legame più autentico può nascere non dal possesso, ma dalla condivisione delle fragilità. Marcello è la speranza struggente di un amore fondato sulla reciprocità, una luce flebile che illumina l'oscurità della guerra e del cuore di Maria.
Ma non c'è solo Maria, ci sono tutte le donne di Bonaventura, Nunziatina, Caterina, Giulietta che rappresentano la potenza politica e sociale del romanzo, la sua forza rivoluzionaria. All'inizio sono un muro di diffidenza, voci roche e mani callose che guardano a Maria come a un'estranea, una "cittadina" inutile. Ma è la terra, elemento primigenio e maestro di vita, a fare da collante. Il momento simbolico in cui Maria affonda le mani nel fango per aiutare Nunziatina a piantare un cedro è un battesimo. Lì, tra la fatica condivisa, crollano le barriere sociali e germoglia la sorellanza. Da coro dolente di madri e mogli in attesa, si trasformano in un'assemblea di coscienze politiche in fieri. La loro rivolta finale, scandita dal grido potentissimo "La campagna siamo noi!", non è solo una protesta per il pane, ma la rivendicazione di un'identità e di un ruolo storico. È la terra stessa che, attraverso le loro braccia, reclama giustizia.
In questo romanzo, la Sicilia non è una scenografia, ma un personaggio fatto di polvere e sangue, una matrice che modella i destini. L'autrice la dipinge con una prosa sensuale, facendoci sentire l'umido delle cave che penetra le ossa, il profumo inebriante delle zagare, il sapore della polvere e il vento tagliente che spazza gli altopiani. Questa terra arida e fertile, dura e generosa, diventa la metafora perfetta della condizione femminile: un luogo di sofferenza e resistenza, capace di generare vita nelle condizioni più avverse.
Su questo palcoscenico, l'autrice muove i fili della Storia con una precisione che non diventa mai didascalica. La Grande Guerra, il ruolo delle madrine, le repressioni dei moti popolari sono il tessuto connettivo che lega le vicende personali a un dramma collettivo.
Lo stile è una scrittura-carne: lirica senza essere eterea, politica senza essere declamatoria. La sua lingua è un organismo vivo, che mescola la purezza dell'italiano con la musicalità ancestrale del dialetto, restituendo la verità di un popolo senza mai cadere nel bozzetto folkloristico. È una prosa che non teme l'emozione, ma la scolpisce con parole esatte, trasformando il dolore in conoscenza e la paura in atto di resistenza.
La seminatrice di coraggio è un monumento di parole eretto a tutte le donne dimenticate dalla narrazione ufficiale. È un romanzo femminista nel senso più autentico del termine: non per proclami, ma perché mostra, attraverso la vita di Maria e delle sue compagne, come l'emancipazione passi attraverso l'istruzione, la sorellanza e la presa di coscienza del proprio valore. È un libro che parla di diritti negati con la forza di chi li ha conquistati, di paura con l'onestà di chi l'ha attraversata, di speranza con la tenacia di chi non ha mai smesso di seminare.
La storia di Maria Roccaforte, con le sue mani sporche di terra e la sua anima intrisa di inchiostro, ci ricorda che la vera Storia, quella che cambia il mondo, è fatta di semi invisibili piantati con coraggio nelle crepe del potere. Un libro che non si limita a raccontare il coraggio: lo pianta, come un seme, nella coscienza di chi legge.
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