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mercoledì 21 maggio 2025

Recensione: SARAH, SUSANNE E LO SCRITTORE di Éric Reinhardt

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Fazi, oggi vi parlo di Sarah, Susanne e lo scrittore di Éric Reinhardt.

SARAH, SUsANNE E LO SCRITTORE 

di Éric Reinhardt
Editore: Fazi
Pagine: 384
GENERE: Narrativa contemporanea
Prezzo: 9,99€ - 19,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Sarah, una quarantaquattrenne altoborghese, sposata e madre di due figli, ha deciso di raccontare la sua storia a uno scrittore affinché questi la trasformi in un romanzo. Cambieranno alcuni dettagli: la protagonista si chiamerà Susanne, farà un lavoro diverso, vivrà a Digione e non in Bretagna, in un elegante appartamento anziché in una villa fuori città. La vicenda che ha stravolto la vita della donna rimarrà però la stessa. Dopo più di vent’anni di matrimonio, Sarah (Susanne) non si sente più amata come un tempo; il marito è sempre meno presente e ogni sera si ritira nel suo studio lasciandola sola con i figli. Come se non bastasse, lei si rende conto che lui possiede il settantacinque per cento della loro casa coniugale, e non la metà, come aveva sempre pensato. Turbata, chiede al marito di riequilibrare l’assetto immobiliare e di essere più partecipe nella routine domestica, ma lui la ignora. Decide quindi di allontanarsi da casa per qualche tempo in modo da metterlo sotto pressione, ma questa decisione porterà a un susseguirsi di eventi del tutto imprevedibili: quando, alcuni mesi dopo, lei tenterà la riconciliazione, scoprirà che suo marito non è l’uomo che credeva. Quale sarà la reazione di Sarah? E quella di Susanne?

RECENSIONE

Sarah, Susanne e lo scrittore è un romanzo che abita il confine tra vita e finzione, tra corpo e parola, tra amore e abbandono. È un’opera che si rifiuta di essere semplice, che non desidera piacere, ma inquietare, far pensare, far sentire. Con una scrittura colta e intensa, Éric Reinhardt costruisce un labirinto emotivo e intellettuale, in cui ogni lettore è chiamato a perdersi per ritrovarsi. Perché questo libro non si limita a raccontare una storia: la interroga, la scompone, la ricompone la viviseziona. 

La narrazione prende la forma di un dialogo, serrato e riflessivo, tra Sarah, una donna sopravvissuta al cancro al seno, e uno scrittore che desidera trasformare la sua storia in un romanzo. Sarah diventa Susanne Sonneur, la protagonista del racconto fittizio. E nel gioco continuo tra biografia e invenzione, tra ciò che può essere detto e ciò che deve essere taciuto, il romanzo diventa un esperimento metanarrativo: il lettore assiste alla creazione della storia mentre questa prende forma sotto i suoi occhi, in un continuo contrappunto tra vissuto e letteratura. Non c’è una trama lineare, ma un movimento a spirale che si nutre di rimandi, revisioni, interruzioni. È un testo che sembra umano, respira e si costruisce e si demolisce quasi da solo. Un'esperienza incredibile leggerlo, perché ti trovi avvolto in una massa di parole che prendono forma e poi si disfano senza alcuna ragione. 

La vera protagonista del romanzo è una donna divisa tra due nomi e due destini. Sarah è la donna reale, Susanne quella letteraria. Ma entrambe si portano dentro lo stesso grido: essere viste. Sopravvissuta alla malattia, Sarah decide di cambiare vita. Lascia lo studio di architettura, si ritira nella sua casa in Bretagna, costruisce sculture e installazioni che sono rivelazioni estetiche e spirituali. Sarah è una donna complessa: spirituale ma concreta, fragile ma radicale, contemplativa ma famelica. Dopo la malattia, non cerca di “tornare com’era”, ma di diventare ciò che il trauma ha dischiuso. La sua arte è la sua fede, il suo corpo il suo tempio, la sua voce la sua rivolta. Sarah/Susanne rappresenta tutte le donne che, dopo essere sopravvissute, si rifiutano di tornare a una vita dimezzata. 

Figura disturbante e necessaria. Il marito è il simbolo dell’uomo educato all’indifferenza emotiva, alla razionalità come fuga. Di fronte alla malattia della moglie, si ritrae. Non con cattiveria esplicita, ma con un’incapacità sorda, paralizzante. Il suo rifugio è uno scantinato in cui fuma, beve, suona la chitarra: un’alcova adolescenziale in cui narcotizzare la responsabilità. È assente quando dovrebbe esserci. E lo è con un’ironia amara: ogni sera promette “torno subito”, e ogni sera scompare. Socialmente, rappresenta un patriarcato borghese che si nasconde dietro la cortesia. Moralmente, è il volto dell’omissione: l’uomo che non fa nulla, ma il cui “non fare” diventa devastante. 

La figlia. La tenerezza. L’argine contro la deriva. Paloma è l’unica figura davvero presente, davvero empatica. I suoi dialoghi con la madre sono le pause di respiro nel buio della storia. La scena del bagno condiviso, gesto infantile ritrovato nell’età adulta, è delicata e commovente. Paloma non consola con parole, ma con gesti, ascolto, presenza. È la continuità. 

Il cancro non è solo una diagnosi medica. È uno smascheramento. Rivela ciò che i legami nascondevano: la disattenzione del marito, l’isolamento emotivo, la mancanza di reciprocità. Sarah/Susanne non diventa “più forte” nel senso eroico della retorica contemporanea: diventa più vera. Il corpo, umiliato, mutilato, diventa un nuovo luogo di coscienza. 

Il romanzo è una celebrazione dell’arte come forza salvifica. Non è intrattenimento, non è decorazione. È lotta, visione, verità. Sarah costruisce opere che non servono, ma che illuminano. Che obbligano lo spettatore a vedere. Come la gettoniera romana che illumina il paesaggio solo per due minuti e mezzo, l’arte è epifania e perdita. Apparizione e scomparsa. Dolore e rivelazione. 

Sarah è “una psicopatica felice dell’indagine retinica”. Il suo desiderio di vedere e far vedere è un atto politico. In un mondo che consuma immagini senza più guardare, lei impone lo sguardo come forma di verità. I suoi occhi bucano il reale per scoprirne il senso. Ed è in questo sguardo che si concentra l’essenza del romanzo: l’atto del vedere come atto d’amore, come sfida, come salvezza. 

Il dialogo tra Sarah e lo scrittore solleva domande cruciali: chi ha diritto di raccontare una storia? Quanto si può romanzare una vita altrui? Qual è il confine tra rispetto e appropriazione? Il romanzo diventa così una riflessione meta-letteraria sulla responsabilità dello scrittore, sulla tensione tra finzione e autenticità. 

Lo stile dell'autore è abbondante, cerebrale, letterario. A volte sembra sconfinare nella ridondanza, nella digressione. Ma ogni deviazione è un avvitamento verso il centro. Ogni dettaglio è un colpo di scalpello nella materia viva del racconto. Il romanzo è un oggetto totale, in cui nulla è gratuito: né le riflessioni architettoniche, né i riferimenti artistici, né le escursioni filosofiche. La scrittura non è mai leggera, ma non è mai superflua. È un flusso di coscienza controllato, denso, esigente. Non compiace. Ma chi si lascia attraversare dalla sua profondità, ne esce trasformato. 

Sarah, Susanne e lo scrittore racconta ciò che la società preferisce silenziare: la solitudine dentro la coppia, la brutalità della malattia, la violenza della normalità. 
Ma anche il potere della bellezza, della parola, dello sguardo. 
È un romanzo che ci lascia più vivi. 
Più lucidi. 
E forse, più umani. Il che non guasta mai.

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